Così scriveva nel 1970 l’allora Arciprete di questa Parrocchia, mons. Giuseppe Buttiglione (Castellaneta 1912-1978), in un suo agile libretto:
“Percorrendo un ripido pendio, lastricato di antiche pietre bianche consunte, dopo esserti lasciato alle spalle l’austero annoso Castello dei Perez-Navarrete, passando per piazzette che ancora ti danno l’impressione dell’ambiente dugentesco, quale solo Assisi o Perugia o Spoleto o altra città della verde umile e nobile Umbria può offrirti nella sua interezza e realtà, ecco: giungi, quasi d’improvviso, di fronte alla vetusta Chiesa Madre, dedicata a S. Lorenzo, martire romano, ed insignita del titolo di Arcipretura Collegiata Abaziale. Questo era il centro, non solo religioso, ma civico ed insieme topografico della Città medioevale”.
Ma passiamo la penna allo storiografo laertino Carlo Dell’Aquila, che, in un Convegno tenutosi a Castellaneta l’11 Dicembre 2003, citando varie fonti letterarie in merito, così parlava di questa nostra Parrocchia: “La chiesa matrice di S. Lorenzo martire di Laterza risulta costruita negli anni 1408-1414. La consacrazione avvenne il 19 Novembre 1673, come ci attesta una iscrizione su pergamena recentemente rinvenuta, ripiegata in quattro, in un reliquiario, e la data per l’anniversario della consacrazione fu fissata al 31 Agosto di ogni anno. La pergamena, di formato trapezioidale, misura cm. 18 e 11 per le basi superiore ed inferiore e cm. 13 di altezza. L’iscrizione, racchiusa tra due filetti che seguono il bordo della pergamena, è del seguente tenore: MDCLXXIII die 19 mensis Novem-/bris, ego Fran(ciscu)s Ant(oniu)s Gallus de Latertia Episcop(u)s Bitu(n)-/tin(u)s consacravi Ecclesia(m), cum altare hoc in ho/norem Sancti Laurenti, cum reliquiis Sa(n)-/ctor(um) martyrum Romani; Venantii; Mari-/ni; et Maximiani in eo inclusi, et singulis Christi fidelibus in die unum annu(m), et in/ die anniversario (con)secrationis huiusmo-/di ipsam visita(n)tibus quadraginta dies de/ vera indulgentia in forma Ecclesiae/ consueta concessi. Officium vero/ ipsius consecrationis recita(n)du(m)/ erit die ultima men(si)s Augusti, et/ die s(ecundum) – lettura dubbia – facultate loci ordinarii. Dipendente fin dall’origine dall’Arcidiocesi di Acerenza e poi da quelle unite di Acerenza e Matera, con decreto della S. Congregazione Concistoriale dell’11 Agosto 1945 fu aggregata alla Diocesi di Matera; infine, con decreto della Congregazione dei Vescovi dell’8 Settembre 1976 fu aggregata alla Diocesi di Castellaneta. Istituzionalmente si presentava come una chiesa ricettizia con a capo l’Arciprete, cui spettava la cura delle anime; questi, eletto “in gremio” al Capitolo, era di nomina arcivescovile. Al Capitolo partecipavano soltanto i sacerdoti, in numero variabile a seconda dell’entità delle risorse disponibili. Le altre dignità erano il Cantore ed il Vicario foraneo, mentre l’amministrazione era affidata a due Procuratori, eletti annualmente. Con Bolla del Marzo 1764 il benefico dell’antica Abbazia di S. Maria la Grande viene unito in perpetuo alla chiesa matrice di S. Lorenzo, per cui da questa data gli arcipreti assumono il titolo di “Abate”. Nel 1790, infine, con decreto reale l’abbazia fu dichiarata soppressa ed i beni passati al “Beneficio di Regio patronato di S. Maria la Grande”, ma gli arcipreti continueranno a titolarsi “regi abati” o semplicemente “abati” beneficiati di S. Maria la Grande”.
Alla chiesa si accede dalla piazzetta antistante per 7 gradini, che hanno una lunghezza massima di m. 14 e minima di m. 12. Per anziani e disabili è stata recentemente costruita, sulla sinistra dei gradini, una rampa di accesso “a scivolo”, mentre una ringhiera in ferro recinge la facciata a destra e a sinistra. La facciata, in stile tardo-gotico (e non romanico-pugliese come vorrebbero alcuni autori locali), eccetto qualche lieve particolare, è identica (si direbbe copiata), a quella della ex Cattedrale di Mottola, dedicata alla Vergine Assunta, alla Chiesa Madre di Manduria, e alla Cattedrale di Ostini; la somiglianza tra quest’ultima e la nostra è tale che, solo dopo un attento esame, ci si accorge che si tratta di due monumenti distinti. Essa si presenta scandita, da quattro lesene, in tre parti; la centrale (più alta e con il portale principale sormontato dall’ampio rosone) termina con un timpano a spioventi concavi, a cui si contrappongono gli spioventi convessi delle due parti laterali. Queste ultime corrispondono alle navate interne, ciascuna con un ingresso secondario ed un occhio per l’illuminazione interna, ognuno dei quali, delimitato da una semplice cornice, presenta all’interno un diverso motivo decorativo di derivazione gotica costituito da raggi arcuati ricorrentesi a girandola quello di sinistra e ad elica quello di destra. Le porte secondarie, in legno lamellare e della misura di m. 1,05 di larghezza e m. 2 di altezza, sono sormontate da lunette ad arco leggermente acuto ed in entrambe è rappresentata la “Mater Domini” (ben conservata quella di sinistra, con i colori più vivi, su un fondo rosso arabescato ed un cielo azzurro costellato di rosso nel sottarco). Il portone principale, in legno massiccio e della misura di m. 2,10 di larghezza e m. 3,50 di altezza, è contornato da tre fasce a bassorilievo scolpite nel tufo: di queste la più interna è attorcigliata “a fune”, l’esterna ha un motivo a fascio con corregge di legamento, mentre la fascia mediana riporta una serie di foglie. Il tutto è sormontato da una lunetta, accostata da due rose scolpite, ed iscritta in una cornice rettangolare culminata, a sua volta, da un timpano triangolare con tre pennacchi di cui il più alto raggiunge l’estremità inferiore del rosone.
Molto ampio e ben lavorato è il ricco rosone centrale “a ruota di carro”, costituito da una successione di venti arcatelle gotiche in tutto simili, anche nella tribolatura, a quelle cieche del cornicione già descritto. Tali arcatelle sono impostate su venti esili colonnine che si attestano sul “mozzo” centrale a mo’ di raggi; il “mozzo” centrale è, a sua volta, costituito da due corone circolari distanziate da otto pilastrini lavorati. Il rosone, infine, è incastonato sulla facciata in un grande occhio circolare, incorniciato da un notevole fregio scolpito a bassorilievo con motivi vegetali ed antropomorfi alterni. Il rosone fu completamente smontato per il restauro nel 1976-1978 dalla ditta Benedini di Roma, che procedette alla pulitura, impermeazione ed integrazione delle parti mancanti già sostituite con elementi lignei. Quest’opera di restauro, fortemente voluta dall’allora Arciprete Mons. Giuseppe Buttiglione, fu motivo di pesanti calunnie nella popolazione contro lo stesso Arciprete, che veniva accusato di aver venduto a terzi il rosone ed incassato il denaro per propri lucrosi interessi!? Sia il rosone che l’intera struttura della facciata della chiesa nel Settembre 2005 sono state dotate di sofisticate apparecchiature antivolatili, onde evitare che le opere fossero deteriorate ulteriormente soprattutto dai piccioni, che già ne avevano fatto luogo privilegiato per i loro nidi ed il loro habitat quotidiano, scarnificando i vari fregi in pietra e invadendo con il loro guano sia le opere murarie che lo stesso ingresso alla chiesa.
Il campanile antico, svettante a sinistra della chiesa presso l’abside del SS. Sacramento, nello stile romanico pugliese, fu demolito nel Febbraio 1858 a seguito del terremoto e ricostruito, in stile neo classico del tempo, dal l ato della sacrestia. In esso sono allocate 5 campane: la più grande del diametro di cm. 97 e datata 1775, quindi una di cm. 80 del 1880, un’altra di cm. 65 del 1932, un’altra di cm. 56 del 1747 ed infine una di cm. 46 che anticamente veniva usata (suonandola con particolare maestria) per i funerali dei bambini. L’interno della nostra chiesa misura m. 26,50 circa di lunghezza, nell’asse dal fondo dell’abside alla porta centrale, m. 13,25 circa di larghezza dall’uno all’altro muro perimetrale e m. 10,60 circa di altezza. È ad impianto basilicale a tre navate scandite da due file di tre colonne ciascuna; la navata centrale ha ampiezza doppia rispetto a quelle laterali, sulle quali si affacciano le cappelle, aggiunte successivamente. Le colonne, che scandiscono le navi in quattro campate e sostengono il tetto in legno a capriate, oggi si presentano massicce con capitelli lineari creati con cornici di gesso, frutto di un disastroso restauro del 1960. In tale occasione – smantellati la finta volta a incannucciata e gli stucchi settecenteschi che ornavano la chiesa e ricoprivano anche le colonne con finto marmo e con capitelli ionici, anch’essi di stucco – vennero alla luce i fusti originari affrescati delle colonne, che furono subito dopo rivestiti da una spessa coltre di cemento armato per un ipotizzato crollo dell’immobile.
Il presbiterio, rialzato di qualche gradino rispetto alle navate, si presenta tripartito in corrispondenza delle navate: nel vano centrale, più ampio, vi è l’altare principale in marmo fatto costruire nel 1864 dall’Arciprete Arcangelo Giannico (Laterza 1802-1883) in sostituzione di un altare ligneo indorato, che fu spostato nella cappella di S. Lorenzo e successivamente disperso. È di buoni marmi, ma assolutamente non rispondente allo stile della chiesa: troppo massiccio ed ingombrante. Nei lavori del 1960 fu smontato e rimontato fuori asse, così come giace tuttora. Dietro l’altare vi era il coro ligneo e sul coro l’organo, sostenuto da quello strano arcone, decorato a bassorilievo con un motivo a foglie di acanto, che divide verticalmente in due il catino absidale. L’organo fu smontato nei lavori del 1960 e i suoi brandelli esistono ancora in un umido deposito ricavato da una grotta sotto i locali annessi la sagrestia. Oggi, in quel vano lasciato vuoto dall’organo, l’attuale Arciprete, don Franco Conte, vi ha fatto installare il simulacro ligneo di S. Lorenzo, realizzato da artigiani tirolesi negli anni Ottanta e da allora allocato nella seconda cappella laterale, entrando a sinistra, da sempre dedicata al santo titolare.
In occasione degli ultimi restauri (i più completi ed organici), che si sono svolti dal 1978 al 1987 in vari stralci e voluti con tenacia dall’Arciprete Pasquale Tamborrino (Laterza 1929-2003), fu collocata la nuova mensa eucaristica, in ottemperanza alle disposizioni conciliari. Detta mensa, però, non risponde pienamente alla normativa liturgica perché consistente in una largo pannello in legno facilmente (e spesso!) rimovibile. È sostenuta dai due putti marmorei, provenienti dall’altare maggiore della chiesa del Purgatorio, oggi sconsacrata e data in comodato d’uso alla civica Amministrazione, che, dopo lunghi anni di restauro, ne ha fatto un Auditorium pubblico. Sulle pareti laterali del presbiterio furono anche fissate le quattro grandi tele degli Evangelisti, anch’esse appartenenti alla summenzionata chiesa del Purgatorio.
Sempre negli anni Ottanta la grandiosa vasca battesimale (opera in pietra del ‘400) fu allocata sotto i gradini a destra del presbiterio e dotata di una copertura in rame (opera di un artigiano locale) sormontata da un piccolo gruppo statuario, nel quale è raffigurato Gesù che riceve il battesimo da Giovanni. Anticamente il fonte battesimale si trovava vicino la semicolonna tra la porta principale e la porta laterale destra. Nel 1937 fu trasferito nella prima cappella della navata destra, dove ora si trovano il confessionale e le bacheche per gli avvisi parrocchiali; la recingeva una grande inferriata, in seguito spostata a chiudere la cappella del Santissimo, a sinistra del presbiterio. Volgendo le spalle all’abside, lo sguardo si posa sulla controfacciata e rimane abbagliato dall’intensità e vivacità delle immagini affrescate su due polittici. Le figure sono piatte, presentate frontalmente con sguardo fisso, senza sfondo e prospettiva. I colori sono vivi e luminosi con prevalenza del porpora e del giallo; i disegni sono chiusi e marcati, atti a distruggere peso e volume nell’immaginazione. È presente una complessa simbologia, propria dell’arte bizantina, che rappresenta la realtà in un mondo soprannaturale e gravita intorno alla pura spiritualità divina. Questi affreschi furono probabilmente eseguiti per raccogliere le varie devozioni che antecede ntemente venivano coltivate nelle cripte sparse in varie contrade, le cui grotte erano ormai state abbandonate per lo spostamento della popolazione verso la contrada medioevale. Le devozioni continuarono verso gli stessi santi, che di conseguenza furono affrescati nella controfacciata. Si possono, infatti, facilmente individuare S. Rocco, S. Antonio abate, S. Bernardino da Siena, S. Francesco d’Assisi, S. Margherita v. e m., S. Domenico, un probabile S. Nicola, la Madonna degli Angeli, la Mater Domini, la SS. Trinità ed, ovviamente, S. Lorenzo. Scendendo gli scalini del presbiterio e dirigendosi verso la navata di destra, si va alla cappella della Beata Vergine del Rosario, che è raffigurata su di una tela con S. Domenico, S. Tommaso d’Aquino ed altre due sante; intorno alla tela sono dipinti, in riquadri, i quindici misteri del rosario. Si passa, quindi, alla cappella dedicata a S. Maria della Neve, che nella tela è rappresentata in alto, mentre più in basso vi sono altri santi, tra i quali S. Apollonia e S. Agata. Segue la cappella di S. Lorenzo, dove si può ammirare la pregevole tela del pittore Paolo De Matteis: è rappresentato il martirio del santo, sormontato dall’immagine di S. Maria di Costantinopoli, S. Nicola e S. Magno suddiacono e martire. Infine, vi è la cappella dell’Annunciazione, l’unica priva di altare. Passando alla navata di sinistra e salendo verso l’interno della chiesa, si trova l’antica cappella del battistero: sulla parete di fondo vi è la tela di S. Michele Arcangelo (riproduzione di Guido Reni), che apparteneva alla chiesa del Purgatorio, mentre sulle pareti laterali, a sinistra “Ultima Cena” del pittore laertino Andrea Giannico e datata 1751, a destra “Natività” dello stesso autore. La seconda cappella è dedicata a S. Giuseppe, la cui statua è posta sull’altare: in alto, sulla parete di fondo, vi è una tela che raffigura la visita della Madonna a S. Elisabetta, mentre sulle pareti laterali due dipinti: “S. Francesco in estasi” a sinistra, “S. Nicola che risuscita i tre fanciulli” a destra; nell’arco, a sinistra, si può notare una mattonella devozionale di Lorenzo Guglielmo, commissionata dal rev. don Giuseppe Pacciana nel Settembre del 1825. Segue la cappella dedicata a S. Lucia: sull’altare è stata posta la statua in pietra della santa (opera del ‘400), rinvenuta in una grotta sotto le fondamenta del campanile. Infine, vi è la cappella, anticamente denominata “cappellone del Corpo di Cristo o Cuore di Gesù”: nel 1749 fu arricchito da un sontuoso altare in legno dorato che contiene la riproduzione della grande tela della “Deposizione”, opera del succitato Giannico; sulle pareti laterali vi sono quattrotele dello stesso pittore e rappresentano: a sinistra “Martirio di S. Flavia” e “Decapitazione di S. Placido”, a destra “Vestizione Sacra” e “Tre storie di S. Benedetto”.
Per maggiori approfondimenti in merito alla storia della nostra chiesa si rimanda a due pregevoli opere di storici locali, dalle quali si è stralciato quanto fin qui descritto: Carlo Dell’Aquila: LATERZA SACRA. Edizione a cura dell’Amministrazione provinciale di Taranto. Dicembre 1989. Raffaella Bongermino: STORIA DI LATERZA. Gli eventi. L’arte. La natura. Congedo editore. Galatina (Le), 1993. Di particolare interesse anche i due “Quaderni”, redatti dall’Arciprete Giuseppe Buttiglione: S. LORENZO MARTIRE. Chiesa Madre. Luglio 1970. ARCIPRETI ABBATI DI SAN LORENZO MARTIRE. Serie cronologica dal 1540. Settembre 1971. I summenzionati “Quaderni” possono essere richiesti gratuitamente alla nostra Parrocchia. Normalmente la chiesa è aperta tutta i giorni feriali dalle 16 alle 21 (ovviamente, nei giorni festivi è sempre aperta). Chi desiderasse visitarla nelle ore del mattino, chieda al vicinato della sig.ra ADELE, che è in possesso delle chiavi per aprire. Il numero telefonico della Parrocchia è 0998216104 (comprensivo di Fax e segreteria telefonica) – e-mail: [email protected]