«Il cristiano è nel tempo rivelazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» è la scritta che campeggia su una parete della cappella che accoglie le spoglie di Giuseppe Lazzati all’eremo di San Salvatore di Erba (Como), un’oasi dello spirito dove Lazzati ha realizzato corsi di orientamento vocazionale, incontri con i giovani, giornate di spiritualità.
di Edoardo Zin
«Il cristiano è nel tempo rivelazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» è la scritta che campeggia su una parete della cappella che accoglie le spoglie di Giuseppe Lazzati all’eremo di San Salvatore di Erba (Como), un’oasi dello spirito dove Lazzati ha realizzato corsi di orientamento vocazionale, incontri con i giovani, giornate di spiritualità.
Mercoledì 18 maggio ricorderemo “il professore” nel trentennale della scomparsa, avvenuta all’alba del giorno di Pentecoste: «all’alba, quasi per rimarcare la prontezza con cui ha saputo rispondere alla chiamata di Dio, all’alba della Pentecoste, che è la festa dello Spirito Santo generatore di luce e di amore», come disse il card. Martini all’omelia delle esequie.
Ricordare i giorni e le opere di Lazzati significa ripercorrere un secolo della Chiesa italiana e dell’impegno del laicato. Lo faremo accennando a tre grandi periodi della vita di Lazzati a cui corrispondono altrettanti impegni vissuti come “interlocutore interno” alla Chiesa, che tanto amò: nei processi storici che gli sono stati dati da vivere nell’Azione Cattolica come dirigente ed educatore; nello Stato democratico come costituente e deputato; nel mondo culturale come professore dapprima e successivamente come rettore dell’Università Cattolica di Milano.
A venticinque anni, nel 1934, fu nominato presidente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) della diocesi ambrosiana. Per comprendere quale fosse in quei tempi il posto dei laici nella Chiesa sarà bene citare questo episodio che il cardinale inglese Gasquet raccontava. Un tale, convertito da poco, domandò a un prete quale fosse la posizione del laico nella Chiesa: «La posizione del laico nella Chiesa – rispose il prete – è duplice. La prima è in ginocchio dinanzi all’altare, la seconda è seduto davanti al pulpito». E il cardinale aggiungeva argutamente: «Ne ha dimenticata una terza: quella della mano nel portafoglio…».
Durante il suo impegno in Azione Cattolica, dapprima come presidente della GIAC (fino al 1943) e poi come presidente diocesano di tutta l’Azione Cattolica (1964-67), Lazzati intuisce la responsabilità dei laici nella Chiesa e nel mondo, tema che diverrà la sua passione dominante. Nei suoi scritti, negli incontri con i giovani, durante le “tre giorni”, Lazzati si fa educatore: parla di maturità del laico, della vocazione ad essere santi e di costruire il regno di Dio nella città dell’uomo, della responsabilità nella vita familiare, professionale e politica. Il momento educativo diventa uno scambio continuo tra lui e i giovani che incontra. Soprattutto prova il piacere di trasmettere la fede, la gioia nel far accedere gli altri alla Verità. Il principio unificante di ogni apostolato (così si chiamava a quei tempi l’evangelizzazione) era rappresentato dalla vita interiore coltivata ogni giorno nella preghiera, segreto e sorgente per assumere i compiti tipicamente laicali e per vincere con l’ottimismo ogni momento di difficoltà.
Durante il periodo del Concilio e immediatamente dopo, intensificherà il suo impegno per illustrare e approfondire il ruolo dei laici alla luce delle costituzioni conciliari Lumen gentium e Gaudium et spes: «l’efficacia dell’azione del laico è proporzionata al fatto che l’azione nasca dal suo essere laico e come tale si ponga accanto a quella del sacerdote non tanto come sua supplenza quanto come complemento», percepisce l’avanzare del secolarismo e mette in guardia a non confondere secolarità con mondanità: «la prima tende a ordinare le realtà temporali secondo il disegno di Dio, la seconda secondo il capriccio dell’uomo».
Si fa pedagogo nel ricordare che il laico partecipa al sacerdozio di Cristo diventando «consacratore del mondo» se i suoi sacrifici, le sue gioie e dolori, le sue sofferenze diventano «spirituali sacrifici graditi a Dio», che la partecipazione all’ufficio profetico conferito al laico da Cristo ha il fine «non di fare altra cosa dal mondo, ma di salvare il mondo», che per poter partecipare al mistero regale di Cristo il laico deve essere competente nel lavoro e nella professione vivendo la sua vocazione in sinergia con gli altri cristiani «non vivendo fuori dal mondo, ma salvando il mondo».
Era stato educatore dei suoi compagni di prigionia nei campi di concentramento dove, dopo l’8 settembre 1943, era stato inviato perché si era rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale di Salò. In questo “tempo di Dio” invita gli amici a pregare, dedica il tempo vuoto per spiegare (lui, docente di letteratura cristiana antica) la bellezza della Fede e a orientare i suoi commilitoni alla ricostruzione morale dell’Italia.
Rientrato a Milano nel settembre 1945, Lazzati accetterà, “suo malgrado”, di dedicarsi alla politica: sarà consigliere comunale, costituente e deputato nella prima legislatura. Durante l’assemblea costituente intensificherà i suoi rapporti con G. La Pira, G. Dossetti, A. Fanfani. Nel tempo del collaterismo tra Azione Cattolica e partito “dei cattolici”, Lazzati sul n.ro 20 della rivista Cronache Sociali scriverà un saggio in cui distinguerà, senza separare, il piano religioso da quello politico e, seguendo la lezione di J. Maritain, inviterà il cattolico impegnato in politica a svolgere la sua azione “da cattolico” e non “in quanto cattolico”. È questo il secondo momento significativo della vita di Lazzati. Se fino ad allora il suo enorme interesse era rivolto a far partecipare i cristiani alla costruzione della città dell’uomo, ora, riconquistata la democrazia, richiama il compito dei cristiani a tenere assieme la categoria della fede e quella della politica attraverso una presenza nel mondo e una fermentazione nel mondo senza servirsi della Chiesa a scopi politici.
Il terzo momento espressivo dell’opera di Lazzati fu quello del suo insegnamento e del suo rettorato alla Cattolica. Eletto in pieno Sessantotto, dopo che l’ateneo milanese aveva conosciuto una crisi non indifferente, su di lui cadde il peso di una serie di problemi gravi ed urgenti. Difese con fermezza il diritto e la missione d’un istituto universitario a fare ricerca scientifica e dibattere temi d’attualità (il divorzio, l’aborto, la contestazione) cercando di coniugare “principi irrinunciabili” ed “esigenze nuove”.
Non gli mancarono le sofferenze anche da parte di fratelli della fede che lo accusarono, gli uni, a far propaganda per il “comitato del no” durante il referendum sul divorzio e altri di “protestantesimo”.
Possiamo ben dire che tutta la vita di Giuseppe Lazzati fu un grande progetto educativo. Lo portò avanti nei suoi incontri con i giovani dell’Azione Cattolica e dell’università (il suo primo contestatore fu Mario Capanna, la cui stima per il rettore lo portò a proporlo come Presidente della Repubblica!), coi compagni di prigionia, con i suoi avversari, con la Chiesa che amò con un amore intriso di rispetto e di dedizione «come mistero di salvezza, come madre, per la quale si sa piangere e tacere».
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